L’8 settembre è una data davvero particolare per l’Italia e gli italiani.
Un certo tipo di propaganda, se non ha tenuto nascosto il vero peso e valore di quanto successo in quel giorno del ‘43, l’ha presentato come un passaggio necessario per salvare la Patria. Non fu così.
La resa incondizionata, non ha liberato il territorio italiano dalla presenza di truppe nemiche, né ha interrotto i combattimenti sul territorio italiano o esentato l’Italia dal pagamento dei danni di guerra. Ha solo cambiato il nemico verso cui combattere (il 13 ottobre si dichiarò guerra alla Germania) ed ha spostato la posizione dell’Italia. Una posizione non del proprio popolo che avrebbe voluto ben altre decisioni. Non erano poche infatti le formazioni militari, prima fra tutte la X Mas del principe Borghese, che volevano salvare l’onore dell’Italia macchiato a seguito di dette decisioni.
Ma i politicanti avevano deciso altro. Di questi politicanti uno in particolare, rappresentativo e fulcro della metamorfosi ideologica e sociale, fu proprio Pietro Badoglio.
Ma chi era e come mai l’Italia si è mossa in quel modo. Nella prima guerra mondiale Badoglio era il comandante del XXVII Corpo d’Armata, sulle cui posizioni partì la disfatta di Caporetto. Anche se le vere cause della disfatta di Caporetto sono ancora oggetto di disquisizione, è accettato che la debole, intempestiva ed inefficace risposta delle artiglierie italiane, sul fronte del XXVII Corpo di Badoglio, è ritenuto uno dei motivi della disfatta.
Nonostante le posizioni di alcuni politici che chiedevano la rimozione degli stati maggiori autori della disfatta, degli stati maggiori alleati e degli stessi ministri di Francia e Regno Unito, che vincolarono l’invio di truppe di supporto a detta rimozione, Badoglio rimase nell’organigramma come vice comandante unico. Si seppe muovere al cambiamento voluto dall’alto rimanendo in sella.
Le responsabilità infatti, ebbero altri destinatari. Della disfatta di Caporetto indagò una commissione d’inchiesta che terminò i lavori ad Agosto del 1919, qualche mese prima della nomina di Badoglio quale Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Della relazione sembrano sparite tredici pagine riguardanti l’operato di Badoglio (il condizionale è però d’obbligo). La posizione gerarchica era scudo e difesa da potenziali rivelazioni che vennero quindi taciute. Iniziava il periodo in cui, ai fallimenti, non si trovano mai i responsabili ma sempre cause fumose e aleatorie. Inizia allora una impostazione che perdura fino ai giorni nostri.
Il futuro premier italiano del luglio ‘43, lo ritroviamo durante l’espansionismo coloniale. Sia nella deportazione di oltre centomila persone del Gebel, in cui sopravvissero in sessantamila, e nell’uso di armi chimiche, prima ancora dell’autorizzazione del governo italiano in Etiopia.
Fu sempre lui a proporre al re il conferimento al Duce del comando delle forze armate in previsione dell’inizio delle ostilità della seconda guerra mondiale. Ciò gli permise di deresponsabilizzarsi successivamente dalle disfatte belliche (vedere alla voce Caporetto) mantenendo però la possibilità di medaglie in caso di successo. Un evoluto Ponzio Pilato che si liberava dal peso del suo ruolo lavandosi le mani con un “noi vi avevamo avvisato, ma a decidere siete voi”.
Le vicissitudini politiche e personali del generale, lo allontanano dalla vita pubblica, ancora per poco.
Ricompare a Marzo del ‘43 con una serie di incontri con il re (faceva anche parte del consiglio della corona, organo consultivo del sovrano italiano) e nei concitati momenti dell’estate autunno del ‘43. Con lo sguardo terzo della storia, è impossibile non notare come, anche se era rimasto ancorato e aveva fatto carriera durante e con il fascismo, risultava esponente di riferimento dei gruppi liberali italiani preventennio. Un uomo per tutte le stagioni che aveva
mantenuto il piede in più scarpe. L’importante è che percorressero il tragitto del potere e/o della gloria personale.
Ultimi eventi degni di nota (che sarebbero tanti altri ma lo spazio non lo permette di ricordarli tutti) sono la dimenticanza in bella vista sulla sua scrivania del “memoriale Cavallero”, che sarà causa della morte del generale Cavallero, a lui inviso, per mano dei tedeschi e la fuga da Roma. Per quest’ultima, ricordiamo che, vista la capacità di insinuarsi e posizionarsi tra gli eventi in maniera più profittevole per se stesso disinteressandosi del danno arrecato ad altri, della viltà del gesto il sovrano ne è risultato un parafulmini, ma sarebbero altri i responsabili da individuare.
L’apoteosi: la dichiarazione di guerra alla Germania del 13 ottobre. Giusto o sbagliata (solo anni dopo si sarebbe potuto dare un giudizio etico sull’operato del nazismo), come scrivevamo all’inizio, l’Italia non uscì dalla guerra, ma cambiò solo il nemico verso cui puntare le armi. Ma l’arrivismo egoistico e la sottomissione al potere vincente dei pochi (il badoglismo si era diffuso ed era divenuto una chiave per emergere), obbligò la nostra nazione e gli italiani a vivere un dualismo antitetico e da contrappasso: combattere comunque la guerra dopo la resa e “vincerla da sconfitta”.
Alcuni, quelli più lontani dal potere politico, con la schiena dritta, continuarono ad essere coerenti ed a non sottomettersi al potente di turno (sia a destra che a sinistra). Emersero così le due immagini che hanno caratterizzato le vicissitudini italiane del secondo dopoguerra. Alla figura aurea della classe politica buona si contrapponevano i badoglioni: coloro che, non essendo all’altezza delle situazioni, scalavano il potere grazie al trasformismo, alla sottomissione al potente di turno e che con scaltrezza, apparivano e scomparivano in base al ritorno egoistico che ne derivava, sprezzanti dei danni che avrebbero fatto alla comunità che dovevano guidare. Non un inizio storico
di tali personaggi sicuramente, ma una legittimazione che arriverà sino ai giorni nostri.
Dagli eventi del ‘43, il badoglismo si è ramificato infilandosi in tutti gli spazi in cui poteva, sopravvivendo solo perché riescono a celare le verità agli occhi dei più.
Un esempio su tutti, il ruolo dell’Italia che ai badoglioni non conveniva ricordare: il mancato inserimento del nostro paese tra i protagonisti (o forse sarebbe meglio dire il principale protagonista) del ruolo anticomunista negli anni venti e trenta del secolo scorso. Un ruolo che ha salvato l’intera Europa dal diventare comunista con le nefasti conseguenze derivanti. Ruolo che hanno preso poi gli americani dagli esiti però dubbi.
Ma se nel periodo della guerra fredda, le decisioni erano mosse (mascherate) dal conflittuale dualismo internazionale, non così può dirsi successivamente. Terminato l’equilibrio armato bipolare, ecco che spuntano i badoglioni a presentare le loro soluzioni .
Li troviamo portare avanti tesi politiche, economiche e ora anche sociali, che a sentir loro, porterebbero vantaggi all’Italia ma che, nei fatti ed a lungo termine, sono solo nefaste decisioni a danno della comunità.
Il potente di turno ora, non è più il nemico pseudoamico, con le truppe schierate sul nostro territorio (in realtà alcuni ancora si trovano) ma l’alleato e le alleanze che ci obbligano a firmare accordi (leggi armistizi) ed a perdere nella vittoria (opera prima del badoglismo).
I badoglioni Ciampi e Andreatta, ci obbligarono a dividere bankitalia dal tesoro esponendoci alla speculazione internazionale. In quarant’anni abbiamo pagato 2700 miliardi di euro di interessi sul debito. Il debito attuale, 2800 mld, è la principale catena che ci vincola ed obbliga a sottostare alle grinfie internazionali. Soldi degli italiani, distribuiti alle banche attraverso le tasse (le
privazioni) di noi italiani. Uno dei due badoglioni divenne poi presidente degli italiani. Che gran successo… per lui.
Ma quello era solo l’inizio delle nefaste opere che avrebbero attuato i badoglioni moderni.
Sotto lo schema del “ce lo chiede l’Europa”, o degli obblighi e contratti internazionali, l’Italia ha subito una rivoluzione economica silenziosa, abilmente celata e sostenuta dai badoglioni del giornalismo.
Prima degli accordi sottobanco degli inizi degli anni ‘90 (simili a quanto avvenuto tra l’estate e l’autunno del ‘43), lo Stato italiano controllava treni, aerei, autostrade, acqua, elettricità e gas; l’ 80% del sistema bancario, l’intera telefonia, la Rai, porzioni consistenti della siderurgia e della chimica. I settori di partecipazione erano praterie sconfinate: assicurazioni, meccanica ed elettromeccanica, settore alimentare, impiantistica, fibre, vetro, pubblicità, supermercati, alberghi, agenzie di viaggio. Era impiegato il 16% della forza lavoro nel Paese. Un potenziale economico che aveva portato il nostro paese ad essere la quinta potenza internazionale.
Ma gli alleati avevano deciso che la privatizzazione sarebbe stata la miglior soluzione per migliorare il paese. Quale iniziativa migliore per far emergere i badoglioni da 8 settembre. L’inizio di queste “mutazioni”, lo si fa partire dall’incontro sul panfilo Britannia del 1992 dove un badoglione di prestigio, l’allora direttore generale del tesoro, Mario Draghi, tenne la relazione introduttiva sui benefici delle privatizzazioni. Ed i badoglioni di allora, ossequiosamente si prodigarono ad attuarle. Ma se quello dello scrivente potrebbe essere un giudizio di parte, chiediamo al lettore se dopo trent’anni possiamo dire di averne tratto vantaggi! Il ponte Morandi è la miglior rappresentazione della involuzione degli accordi dei badoglioni di allora. Ma l’elenco sarebbe lungo (o meglio onnicomprensivo): stato pietoso delle autostrade ancora a pagamento (e che prezzi!) ma in realtà già pagate dai nostri
nonni e padri; nella telefonia ci ritroviamo contratti strappa soldi, con i clienti trattati come bancomat; compagnia di bandiera aeronautica evaporata; nessuna azienda automobilistica nazionale, oramai assorbita dai francesi. L’elenco sarebbe davvero lungo.
Si era deciso che il sistema economico politico, non sarebbe stato adatto all’evoluzione del mondo. Forse meglio dire che stava ostacolando i piani degli altri.
I badoglioni di allora li abbiamo poi rivisti come premier e capi di stato. Nascosti e celati dietro posizioni ideologico politiche, e da tanti altri badoglioni del giornalismo, e le loro opere si sono rivelate nefaste per il benessere del sistema paese.
L’8 settembre non fu una resa per migliorare le condizioni nazionali. Fu un cambio di fronte che voleva essere speculativo e migliorativo. Non sapremo mai come sarebbe stato se non ci fosse stato. Allo stato attuale però possiamo dire con certezza che fu un tradimento di tanti italiani, mosso da incapacità ed inettitudine, ed è divenuto riferimento di tanti, troppi, badoglioni imitatori seguenti a tutto danno di noi italiani.
MDN