Il missile nucleare italiano Alfa: la storia segreta del deterrente mai nato

Di Andrea Franchi

Un capitolo dimenticato della Guerra Fredda
Quando si parla di armi nucleari, il pensiero corre immediatamente alle superpotenze: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia. Eppure, pochi italiani sanno che negli anni ’70 il nostro Paese era vicino a dotarsi di un proprio missile nucleare strategico: il missile Alfa. Questo progetto, portato avanti in segreto, avrebbe potuto trasformare l’Italia in una potenza nucleare autonoma, modificando radicalmente il suo ruolo geopolitico. Tuttavia, pressioni internazionali e scelte politiche ne decretarono la fine prematura, seppellendo per sempre l’ambizione italiana di possedere un deterrente nucleare.
L’Italia e la tentazione nucleare: il contesto storico
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si trovava in una posizione strategica complessa. Entrata nella NATO nel 1949, il Paese divenne un perno della difesa occidentale nel Mediterraneo, con basi militari cruciali per il contenimento sovietico. Negli anni ’50 e ’60, mentre
Stati Uniti, Regno Unito e Francia sviluppavano i loro arsenali nucleari, l’Italia iniziò a chiedersi se dovesse fare altrettanto.
Nel 1957 il governo italiano firmò un accordo segreto con Francia e Regno Unito per la creazione di un arsenale nucleare europeo. Tuttavia, con il ritorno al potere di Charles De Gaulle, la Francia decise di ritirarsi dalla collaborazione e puntare su un proprio arsenale indipendente. La scelta non fu casuale: i francesi avevano già ottenuto dalle ricerche congiunte con gli italiani tutte le informazioni necessarie per sviluppare le proprie testate nucleari e missili strategici. Dopo aver sfruttato l’accordo per acquisire know-how tecnico, De Gaulle fece pressione sugli Stati Uniti affinché bloccassero ogni ulteriore ambizione nucleare italiana. Washington, preoccupata dall’idea che l’Europa potesse dotarsi di un arsenale atomico al di fuori del suo controllo, convinse Roma a fare marcia indietro. In sostanza, mentre la Francia proseguiva indisturbata nello sviluppo della Force de Frappe, l’Italia si ritrovò isolata e costretta a rinunciare al proprio deterrente nucleare.
Negli anni ’60, la Marina Militare italiana studiò l’idea di armare l’incrociatore Giuseppe Garibaldi con missili nucleari Polaris, ma il progetto venne accantonato dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962. A quel punto, l’unica opzione rimasta era sviluppare un vettore nucleare nazionale.
Il missile Alfa: specifiche e capacità
Il missile Alfa era un vettore a medio raggio (MRBM), sviluppato dall’industria italiana con tecnologia nazionale. Aveva una lunghezza di 6,5 metri, un diametro di 1,37 metri e un peso al lancio di circa 10,7 tonnellate. La propulsione era affidata a due stadi a propellente solido, sviluppati da SNIA-BPD, che garantivano una gittata di circa 1.600 km. Il sistema di guida era inerziale, con un errore stimato (CEP) di circa 1 km, sufficiente per colpire con precisione obiettivi strategici.

La testata prevista per Alfa era termonucleare, con una potenza stimata di 1 megatone, circa 70 volte più potente della bomba sganciata su Hiroshima. Un’arma del genere avrebbe avuto la capacità di distruggere completamente un’area metropolitana di medie dimensioni, rendendo Alfa un deterrente credibile.

La fine del progetto: tra politica e pressione internazionale
Il missile Alfa venne testato tra il 1975 e il 1976 nel poligono militare di Salto di Quirra, in Sardegna. I test furono incoraggianti, ma il destino del progetto era già segnato. Gli Stati Uniti, impegnati nel contenimento della proliferazione nucleare, esercitarono forti pressioni sull’Italia affinché aderisse al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che vietava ai Paesi non nucleari di sviluppare ordigni atomici. Dopo anni di esitazioni, il governo italiano ratificò il trattato
nel 1975, decretando la fine del programma Alfa. La decisione di rinunciare a un deterrente nucleare nazionale fu dettata da diversi fattori. Da un lato,
il costo dello sviluppo e del mantenimento di un’arma atomica sarebbe stato elevatissimo; dall’altro, la NATO garantiva comunque la protezione dell’Italia sotto l’ombrello nucleare statunitense. Inoltre, l’adesione al TNP rafforzava il profilo diplomatico italiano come promotore del disarmo internazionale.
L’eredità del missile Alfa
Sebbene il missile Alfa non abbia mai visto il servizio operativo, il suo sviluppo non fu vano. L’esperienza accumulata dall’industria italiana in quel progetto contribuì alla creazione di tecnologie missilistiche avanzate. Negli anni successivi, l’Italia divenne un attore chiave nel settore aerospaziale, partecipando alla progettazione del vettore europeo Vega, oggi impiegato per il lancio di satelliti.
In ultima analisi: cosa sarebbe cambiato con un’Italia nucleare?
Se il progetto Alfa fosse stato portato a termine, l’Italia avrebbe potuto affermarsi come una potenza nucleare autonoma, sulla scia di Francia e Regno Unito. Questo avrebbe comportato un maggiore peso geopolitico, ma anche un notevole onere economico e diplomatico. L’Italia avrebbe dovuto affrontare un isolamento parziale in ambito internazionale, con il rischio di compromettere i suoi rapporti con gli alleati occidentali.
Oggi, la scelta italiana di rinunciare al nucleare appare coerente con la sua politica estera basata sul multilateralismo e sulla cooperazione internazionale. Tuttavia, la storia del missile Alfa rimane un capitolo affascinante e poco conosciuto, che testimonia un periodo in cui il nostro Paese sognava di
giocare un ruolo da protagonista nella geopolitica globale.

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