Il mondo sta cambiando: la leadership globale degli USA traballa sotto il peso del debito, della polarizzazione interna e dell’ascesa cinese. I segnali del declino sono evidenti. Ma non è ancora troppo tardi per invertire la rotta.
di Andrea Franchi
“La più grande guerra di ogni nazione è quella con se stessa.” – Ray Dalio
Quando una potenza globale entra nella fase discendente del suo ciclo storico, la traiettoria non è sempre esplosiva. Spesso è silenziosa, fatta di crepe, contraddizioni, numeri che iniziano a non tornare. Oggi, guardando agli Stati Uniti, ci troviamo esattamente lì: nel cuore di un declino silenzioso ma accelerante, che potrebbe riscrivere gli equilibri geopolitici del XXI secolo.
- I numeri che segnalano la crisi:
- Debito pubblico oltre il 124% del PIL (CBO, marzo 2025). Nel 2000 era al 55%.
- Deficit federale 2024: oltre 1.800 miliardi di dollari.
- Tasso di approvazione del Congresso USA: al 15% (Gallup, gennaio 2025).
- Oltre 60 milioni di americani con copertura sanitaria precaria o nulla (KFF, 2024).
- Indice di polarizzazione politica più alto degli ultimi 60 anni (Pew Research Center, 2024).
- Erosione della classe media: oggi meno del 50% degli americani si considera “middle class”, contro il 61% nel 1971.
Ma il dato più emblematico arriva dal sistema finanziario: dal 2001 al 2023, la quota del dollaro nelle riserve globali è passata dal 71% al 58% (IMF, aprile 2024). Intanto, la Cina firma accordi energetici in yuan con Arabia Saudita e Brasile, mentre i BRICS lanciano la piattaforma alternativa per i pagamenti internazionali.
- Il mondo post-americano è già tra noi:
Il ritiro da Kabul nel 2021, vissuto come disfatta simbolica, ha segnato più di una cesura. Da allora, il mondo ha preso atto che l’egemonia statunitense non è più “garantita”. La guerra in Ucraina ha confermato che l’influenza USA in Europa regge, ma a caro prezzo. E in Asia, Pechino espande le sue rotte commerciali e digitali con la Belt and Road Initiative, mentre costruisce la più grande marina militare del mondo (US Navy Report, 2024).
Come ha scritto Graham Allison dell’Università di Harvard:
“Siamo entrati nella trappola di Tucidide. Quando una potenza emergente sfida una potenza dominante, il conflitto è altamente probabile.”
- L’America può evitare la fine dell’impero?
Non tutto è perduto. Gli Stati Uniti rimangono:
- la prima economia per PIL nominale (24.000 miliardi di dollari nel 2024),
- il primo esportatore di tecnologia avanzata,
- il paese guida nei settori strategici dell’intelligenza artificiale, aerospazio e cybersicurezza.
Ma per mantenere questo ruolo nel nuovo mondo multipolare, dovranno riordinare la propria casa interna: ridurre il debito, ricucire la frattura sociale, riformare le istituzioni e tornare a investire nella coesione nazionale.
Come ammoniva lo storico Paul Kennedy:
“Il declino di una grande potenza non deriva solo dai nemici esterni, ma dalla sua incapacità di correggere i propri squilibri strutturali.”
- Cosa ci attende:
Nel prossimo decennio assisteremo a:
- un riequilibrio multipolare irreversibile,
- una competizione per l’influenza su Eurasia, Africa e spazio cibernetico,
- una ridefinizione delle valute di riferimento (forse un paniere? Forse una moneta digitale multipolare?).
- una corsa a modelli di governance ibridi, più pragmatici che ideologici.
Gli Stati Uniti sono ancora in tempo per guidare – anche se non più dominare – questa trasformazione. Ma dovranno farlo in modo diverso: non più col potere dell’unilateralismo, bensì con la forza della credibilità, dell’efficienza e della coerenza interna.
In ultima analisi:
Ogni impero crede di essere eterno. Finché non si scopre stanco. Oggi gli Stati Uniti sono stanchi. Ma come ci insegna la storia, è proprio nei momenti di crisi che si decide il destino di una civiltà.
La domanda è semplice: saprà l’America reinventarsi, o assisteremo alla transizione definitiva verso un nuovo ordine guidato altrove?