di Andrea Franchi
Presidente di Tarentum Forum APS
È arrivata la proposta. L’ennesima. Stavolta a firmarla è Antonio Gozzi presidente di Federacciai (di Confindustria), e imprenditore siderurgico, che suggerisce di inserire l’ex Ilva di Taranto – oggi “Acciaierie d’Italia” – all’interno del grande piano europeo di riarmo, accedendo così ai fondi della Difesa per rilanciarla.
Ma qui non si tratta di una proposta visionaria. È l’ennesimo tentativo di rianimare un colosso industriale morente, tossico, dannoso, ormai completamente scollegato dalle vere esigenze della comunità e dalla traiettoria futura della città. L’Ilva non va salvata. Va superata.
1. L’Europa vuole difendere i suoi cittadini, non avvelenarli
Il piano europeo per la difesa ha un obiettivo chiaro: rafforzare le capacità strategiche dell’Unione e proteggere la sicurezza dei suoi cittadini e dei suoi territori. In questo quadro, è semplicemente inammissibile che si pensi di utilizzare fondi dedicati alla sicurezza per alimentare uno stabilimento che da decenni mina la salute dei cittadini di Taranto, avvelena l’ambiente, distrugge interi quartieri e rappresenta un’eredità tossica che pesa come una cappa mortale su ogni prospettiva futura.
2. La questione non è industriale, è esistenziale
Non si tratta di scegliere tra lavoro e salute. Taranto ha già pagato troppo, e continua a pagare. La questione è ben più radicale: è eticamente e strategicamente folle voler finanziare con soldi destinati alla difesa una fabbrica che rappresenta una delle maggiori minacce ambientali e sanitarie del nostro Paese. È un cortocircuito logico e morale che nessuna “necessità produttiva” può giustificare.
3. L’Ilva è un fallimento sistemico, non un asset strategico
Ogni tentativo di rilancio dell’Ilva è finito nel pantano. Società miste, commissariamenti, piani industriali, capitali pubblici e privati: nulla ha funzionato. L’Ilva non è un asset strategico, ma una zavorra per l’Italia, e un pozzo senza fondo per i contribuenti. Il vero patriottismo economico oggi è chiudere quella fabbrica, non rianimarla a spese dei cittadini italiani ed europei.
4. Taranto merita un futuro, non una condanna perpetua
Taranto non è la città dell’acciaio. È una città con un porto naturale straordinario, una storia millenaria, un patrimonio archeologico unico, un mare splendido, un potenziale industriale alternativo e innovativo, una posizione geografica strategica. Ma tutto questo viene soffocato dalla presenza ingombrante e tossica dell’ex Ilva. Non si può costruire il futuro su una macchina di morte e inquinamento.
5. Le risorse vanno usate per bonificare, non per perpetuare il danno
Se davvero si vogliono impiegare fondi pubblici in nome della sicurezza, che vengano destinati alla bonifica integrale delle aree inquinate, alla conversione sostenibile dell’economia tarantina, alla creazione di una vera Zona Economica Speciale verde, alla nascita di poli di innovazione tecnologica, logistica, turistica, formativa e imprenditoriale. Quello sì che sarebbe un uso sensato, lungimirante e legittimo di risorse europee.
Conclusione: la sicurezza europea non può passare sul cadavere di una città
La proposta di Gozzi è irricevibile. Non solo perché inadeguata, ma perché perversa nella sua logica di fondo: utilizzare la bandiera della difesa comune per coprire l’ennesima operazione di salvataggio di un fallimento industriale che andava chiuso decenni fa. Taranto ha il diritto – e il dovere – di voltare pagina. E lo farà. Ma non sarà certo grazie all’ennesima stampella offerta a chi ha già dimostrato di non saper costruire nulla se non rovine.
La vera difesa, per l’Italia e per l’Europa, comincia proprio da qui: da una Taranto liberata. E finalmente viva.