Di Andrea Franchi
Il confronto tra Israele e Iran non è l’inizio di una nuova guerra, ma il punto di rottura di un conflitto ibrido che si sviluppa da oltre quarant’anni. Per comprendere la situazione attuale, è indispensabile analizzare le sue radici storiche, ideologiche e strategiche.
Dalla cooperazione alla frattura: la svolta del 1979
Fino alla rivoluzione islamica del 1979, Iran e Israele avevano rapporti di cooperazione discreta ma profonda, soprattutto sul piano energetico e dell’intelligence. Entrambi si trovavano nel campo filo-occidentale e condivisero l’obiettivo di contenere l’influenza sovietica e panaraba nella regione. La caduta dello Shah e l’ascesa dell’Ayatollah Khomeini ribaltarono completamente questo assetto: Israele fu dichiarato “Piccolo Satana”, gli USA “Grande Satana”, e la distruzione dello Stato ebraico divenne una componente strutturale della dottrina khomeinista.
Guerra per procura e ambiguità strategica
Negli anni ’80 e ’90, pur in contesti geopolitici paradossali (si pensi all’“affare Iran-Contra” che vide Israele fornire armi a Teheran durante la guerra Iran-Iraq), la retorica anti-israeliana si consolidò. L’Iran divenne sponsor di Hezbollah in Libano e, successivamente, di Hamas nella Striscia di Gaza. Da qui ha preso forma un’architettura di guerra per procura, dove Teheran ha esercitato pressione su Israele tramite milizie sciite e gruppi jihadisti sunniti, evitando al contempo lo scontro diretto.
Il dossier nucleare: il punto di non ritorno
Negli anni 2000, la minaccia percepita da Israele si è aggravata con l’avanzamento del programma nucleare iraniano. Pur aderendo al Trattato di Non Proliferazione (TNP), l’Iran ha avviato l’arricchimento dell’uranio fino al 60%, una soglia prossima a quella militare (90%). Il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo firmato nel 2015, è stato poi indebolito dal ritiro unilaterale degli Stati Uniti nel 2018. Le ispezioni dell’AIEA sono diventate sempre più complesse, e l’assenza di trasparenza ha alimentato la sfiducia.
L’architettura della deterrenza israeliana
Per rispondere all’espansione iraniana, Israele ha adottato la dottrina MABAM (guerra tra le guerre), colpendo infrastrutture iraniane in Siria, sabotando siti nucleari come Natanz, e conducendo eliminazioni mirate di figure chiave. Le operazioni israeliane si sono intensificate a fronte della strategia iraniana del “corridoio sciita”, che collega Teheran a Beirut passando per Iraq e Siria, proiettando influenza sul Levante e sul Mediterraneo orientale.
7 ottobre: la crepa nello scudo
L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha segnato un punto di svolta. Le capacità di intelligence di Israele (Shin Bet in primis) si sono rivelate impreparate a una strategia pianificata in modo non convenzionale. L’infiltrazione via terra e l’utilizzo di tecnologie rudimentali ma efficaci ha esposto vulnerabilità nel sistema difensivo israeliano, incluso l’Iron Dome, progettato per minacce limitate e coordinate.
Il ruolo degli attori esterni
USA, Russia, Cina, Turchia, Arabia Saudita e anche l’Italia hanno interessi diretti o indiretti in questa crisi. Gli USA hanno rafforzato la loro presenza militare nella regione, posizionando bombardieri strategici B-2 nella base Diego Garcia. Tuttavia, la Casa Bianca appare riluttante a un coinvolgimento diretto. La Russia osserva in silenzio, ma non è nuova a voltare le spalle ai propri alleati se ciò giova ai suoi interessi, come dimostrato in Siria. La Cina, che ha rapporti economici con l’Iran, punta a preservare la stabilità regionale per tutelare le proprie rotte commerciali.
L’Italia, membro della missione UNIFIL in Libano e presente strategicamente nel Mediterraneo, ha le carte per giocare un ruolo di mediazione più incisivo. L’assenza di ambizioni imperiali e il posizionamento bilanciato nei confronti delle potenze in campo, la rendono un interlocutore credibile.
Scenari possibili
La guerra aperta tra Israele e Iran non è più un’ipotesi remota. L’attuale fase prevede escalation a intensità variabile, operazioni cibernetiche, guerra psicologica, bombardamenti e attacchi missilistici. Tuttavia, lo scenario più pericoloso è quello dell’ambiguità prolungata: una guerra “lenta” ma costante, dove il margine d’errore strategico può innescare una catastrofe.
Un’ipotesi alternativa, benché ambiziosa, è il ritorno in Iran del principe Reza Ciro Pahlavi e la restaurazione di una monarchia costituzionale. Una soluzione che, sebbene lontana, incontra il favore di una crescente parte della diaspora iraniana e di settori giovanili interni al Paese.
Conclusione: tra memoria e futuro
Come simbolico epilogo, è opportuno ricordare un celebre passaggio del libro di Ezechiele 25:17, citato anche nel film Pulp Fiction:
“E calcherò con furia e con rabbia vendicatrice su coloro che tentano di avvelenare e distruggere i miei fratelli.”
In Medio Oriente, la vendetta spesso si traveste da giustizia. Ma ciò che manca ancora è una visione condivisa di pace duratura. Israele e l’Iran rappresentano due civiltà millenarie. L’umanità ha più da guadagnare dalla loro coesistenza che dalla loro distruzione reciproca.