Di Andrea Franchi
Per anni il conflitto tra Israele e Iran è stato narrato come una guerra fredda per procura. Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, le milizie sciite in Siria e Iraq erano solo pezzi su una scacchiera più ampia, in cui Tel Aviv e Teheran manovravano senza esporsi. Oggi, questa narrazione non regge più. La guerra c’è, e coinvolge direttamente i due Stati. Non solo con droni e missili, ma anche con operazioni cibernetiche, sabotaggi, e una costante pressione asimmetrica. Una guerra ibrida, fluida, letale.
L’Iran, che già nel 1950 riconobbe de facto Israele, ha ribaltato completamente la sua postura dopo la rivoluzione del 1979. La retorica khomeinista, che definisce Israele “il piccolo Satana”, ha trovato pieno sbocco operativo nel finanziamento del terrorismo anti-israeliano e nello sviluppo di un programma nucleare ambiguo e inquietante. La teocrazia sciita vede nello Stato ebraico una nemesi culturale e geopolitica, un ostacolo all’espansione di un “corridoio sciita” che da Teheran dovrebbe arrivare al Mediterraneo.
Israele, da parte sua, ha sviluppato una strategia di deterrenza attiva: colpisce prima che il pericolo si concretizzi. Dalla dottrina MABAM alle operazioni coperte in Siria e in Iran, Tel Aviv cerca di contenere la minaccia con chirurgica fermezza. L’omicidio di scienziati nucleari iraniani, i cyberattacchi ai siti di arricchimento e la guerra elettronica sono solo alcuni strumenti di una strategia che punta a rallentare l’Iran e impedirgli di acquisire l’arma atomica.
Il fallimento dello Shin Bet nel prevedere l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023 ha aperto una ferita profonda nella sicurezza israeliana. Ma ha anche mostrato con evidenza che Hamas non agisce da solo: la mano di Teheran è ben presente, logistica, finanziaria, ideologica. L’operazione “Rising Lion” è la risposta israeliana: non più contenimento, ma reazione.
Nel mezzo, il mondo. Gli Stati Uniti rafforzano la presenza militare nella regione (Diego Garcia su tutte), ma non vogliono una guerra diretta. La Russia, storicamente ambigua, potrebbe abbandonare Teheran se i suoi interessi lo richiedessero. La Cina osserva, interessata alla stabilità energetica più che ai destini della rivoluzione islamica. L’Europa resta in silenzio. E l’Italia?
L’Italia ha tutte le carte per giocare un ruolo chiave. Presenza militare, capacità diplomatica, posizione geografica. Ma deve volerlo. Deve capire che non si può restare neutrali di fronte a una minaccia esistenziale che può incendiare il Mediterraneo. Deve dimostrare, con atti e visione, di voler essere potenza stabilizzatrice e credibile.
Il futuro? Incerto. Ma una cosa è chiara: il tempo delle illusioni è finito. Chi ignora il pericolo, ne subirà le conseguenze. E chi arretra di fronte al fanatismo, gli consegnerà il destino delle nazioni.